Il governatore propone di trasferire il dicastero del Lavoro sotto la Mole. Sarebbe meglio l'Industria ma "pitost che niente l'è mei pitost". Per il parlamentare del Pd il federalismo della Lega è tanto chiacchiere e distintivo L'ultimissima pubblicistica leghista ha rivisto al ribasso il ruolo che nella complicata gerarchia del Carroccio, il cui timoniere è per sua stessa ammissione "stanco", è svolto dal governatore sub-iudice del Piemonte Roberto Cota. E forse sarà il nervosismo provocato dalla nuova graduatoria che ha suggerito a Cota di prenotare il ministero del Lavoro nella, per ora fantasiosa, spartizione dei dicasteri che Bossi e i suoi vogliono strappare a Roma. O, ennesima versione, addirittura il Viminale retto dal compagno di partito Roberto Maroni. A Torino e in Piemonte sarebbe probabilmente più saggio trasferire le competenze industriali e produttive modellando il ministero sull'esempio dell'assessorato regionale. Non solo per rispondere alla tradizionale vocazione del territorio: l'insediamento di un dicastero in grado di coniugare le politiche sulle attività produttive con le strategie sull'innovazione e la ricerca potrebbe davvero costituire se non un volano per la ripresa, almeno un ottimo tampone per arginare i processi di deindustrializzazione. Cota non ha tenuto conto che da queste parti d'Italia resiste il cuore della capacità manifatturiera nazionale e, ovviamente, anche padana. Forse la scelta del Lavoro ha motivi legati ai rapporti con gli altri ras leghisti che come al solito fanno fare a Milano la parte dell'asso pigliatutto. Insomma a disposizione dopo il banchetto dei lumbard c'era solo più il Lavoro. Ma non è tanto la bontà della proposta di trasferimento ministeriale che interessa esaminare. L'ipotesi del ministero del Lavoro a Torino se da una parte s'ammanta di fascino perché sarebbe un eccellente maniera di festeggiare il 150esimo anniversario dell'Unità che per la capitale piemontese significò la perdita di tutti i palazzi governativi trasferiti prima a Firenze e poi a Roma, dall'altra deve porre fine alla lunga e luccicante stagione delle proposte di Cota che adesso devono essere trasferite nel libro della concretezza. Esprime riserve, proprio sulla capacità di trasformare le dichiarazioni in atti concrete, Stefano Esposito, il parlamentare Pd che con attenzione segue le questioni occupazionali. «Temo, e non ne sono affatto contento, che sia l'ennesimo bluff leghista. Un simulacro di federalismo privo di contenuti, esclusivamente di facciata». A onor del vero anche il governo di centrosinistra provò a decentrare qualche ministero e poi, registrate le resistenze delle burocrazie romane e la netta contrarietà dei boiardi di Stato, ha ripiegato dislocando qualche autority. Fino ad oggi nonostante ci si avvicini alla tappa dei primi sei mesi, nulla lascia trasparire quale sarà l'identikit del Piemonte conquistato dalle truppe leghiste. I pochi provvedimenti adottati o sono di natura chiaramente demagogica come la disdetta forse poco accorta della sede romana, che propagandata come esempio di oculatezza si è, invece, trasformata nel pagamento di un doppio affitto o sono eredità della giunta Bresso. Persino il piano pluriennale per il lavoro fatica a decollare e a dare i suoi frutti. Non a caso è stato il segretario di un sindacato a manifestare per primo qualche perplessità sulla capacità concrete del nuovo governo piemontese dopo una prima fase definita pirotecnica. A buon intenditore. Certo a Cota e ai suoi assessori deve essere riconosciuto il fardello dei ricorsi contro il risultato elettorale di primavera che hanno assorbito grandi energie e creato un'atmosfera difficile per le fatiche della delibera. Adesso però basta. Un autunno difficile attende il Piemonte dove continua ad aumentare l'elenco delle aziende in crisi e dei posti di lavoro bruciati. Basta propaganda o Cota presto sarà noto solo per l'incredibile saga di "parentopoli". Sono già annunciate nuove e interessanti puntate, mentre l'ondata moralistica della Lega di Bossi si è fatta silenziosa. |
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