Quando il giudice castiga il pm
Sentenza: De Magistris, più che indagare, faceva il Saint-Just di provincia
L'inchiesta Why not, condotta dall'ex pm Luigi De Magistris, è scoppiata come una bolla di sapone. Il giudice per le indagini preliminari Abigail Mellace in una lunghissima motivazione della sentenza ha descritto un metodo di indagine profondamente distorto, volto alla ricerca dell'effetto politico e pubblicitario, privo di ogni serietà e professionalità. Gli effetti politici generali, com'è noto, sono stati clamorosi. L'inchiesta ha contribuito a provocare le dimissioni dell'allora Guardasigilli Clemente Mastella, il che ha reso palese lo stato di crisi latente del governo di Romano Prodi. Quelli pubblicitari, invece hanno consentito allo spregiudicato magistrato di avviare una promettente carriera politica nelle vesti di Saint-Just di provincia.
Tutto questo è noto, ma l'elemento da sottolineare con compiacimento è la capacità dimostrata in questo caso dall'ordinamento giudiziario di correggere i propri errori invece di continuare nella prassi tradizionale dell'autoassoluzione corporativa. La sentenza di Mellace è un esempio rilevante di una risorsa, finora scarsa, che potrebbe rivelarsi preziosa anche per definire i lineamenti della riforma della Giustizia. Se manca una capacità del sistema giudiziario di condannare i comportamenti dei magistrati lesivi delle loro funzioni e della loro imparzialità, tutto si traduce in un defatigante braccio di ferro tra ordine giudiziario e autorità politiche o disciplinari, che dà l'impressione di una lotta tra caste autoreferenziali.
Se inchieste condotte alla maniera di De Magistris, considerate molto scivolose anche in ambienti a lui vicini politicamente, vengono sanzionate dalla magistratura stessa, si evita il consueto cortocircuito. Rafforzare la capacità di censura della magistratura giudicante nei confronti di quella inquirente, dopo averne separato le sorti professionali, può essere un'opportunità in più per garantire un giusto processo.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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