Pd, codice rosso. Roma forza i tempi ma teme una sVendola a Fassino |
Martedì 16 Novembre 2010 09:41 |
Chiamparino diserta il summit di domani e agita il sonno di Morgando. Mentre cresce il partito avverso all'ex segretario diessino la sinistra medita di scendere in campo alle primarie con un proprio candidato. Prove di accordo tra i nanetti locali (Gariglio, Placido, Tricarico) per sbarrare la strada alla designazione nazionale
La notizia è che Chiamparino ha dato forfait. Il sindaco ha annunciato ieri sera che non prenderà parte al summit romano di domani tra la segreteria nazionale e i vertici del Pd piemontese, incontro che dovrebbe sbrogliare l'intricata matassa delle candidature a sindaco del centrosinistra. L'assenza di Chiamparino dà la stura a un florilegio di interpretazioni: c'è chi sostiene che, dopo aver tentato di sbarre la strada a Francesco Profumo, egli tema un colpo di coda da parte di un gruppo dirigente in balia degli eventi milanesi; altri sottolineano la connaturata doppiezza del personaggio e rubricano la decisione nel solco della tipica condotta chiamparinesca; qualcuno, infine, si spinge a ipotizzare che da buon pokerista abbia in serbo un nome per lo spariglio finale. Sia quel che sia, il disimpegno del primo cittadino cambia, e di parecchio, le carte sul tavolo. A partire dalla partita che giocheranno i due segretari regionale e provinciale: Morgando (nella foto con Bersani) darà il proprio assenso all'incoronazione di Piero Fassino, come vorrebbero molti romani, o troverà coraggio e, approfittando dell'assenza di Chiamparino, tenterà di sostenere le residue (forse tramontate) disponibilità di Profumo?
A via delle Fratte, quartier generale democratico, la scoppola delle primarie milanesi ha, se possibile, ulteriormente aumentato la confusione. Il Pd rischia di arrivare alle prossime amministrative senza candidati di partito nelle principali città, cannibalizzati dagli alleati, principalmente da parte di Vendola. A Torino il dilemma ruota proprio attorno all'esigenza di risalire la pericolosa china, mandando in prima linea nella competizione per il capoluogo piemontese un esponente prestigioso come l'ex segretario diessino, facendo in modo che non diventi l'ennesima vittima del vendolismo e dei rottamatori. È naturale che la vittoria di Pisapia abbia ringalluzzito la spenta truppa subalpina dei seguaci del presidente pugliese che a questo punto meditano sull'opportunità di presentare, magari in accordo con altre formazioni della sinistra radicale, un candidato alle primarie. Un'ipotesi tenuta sottotraccia giacché i vendoliani torinesi (Monica Cerutti, Francesco Salinas e Marco Grimaldi) hanno finora preferito trattare con il Pd spazi e posti nella futura giunta piuttosto che impegnarsi in una battaglia politica dall'esito incerto. I vendoliani scontano, peraltro in buona compagnia con le altre forze della coalizione, la cronica mancanza di una figura di spicco da lanciare nell'agone. Tolti i soliti nomi di bandiera (Eleonora Artesio, non proprio una principiante, e Marco Revelli, periodicamente assoldato a ogni scadenza elettorale), non resta che il leader della Fiom Giorgio Airaudo, il cui limite è proprio nella sua caratura di dirigente di un sindacato massimalista.
La patata bollente è ora nelle mani del gruppo dirigente torinese che nel proliferare di candidature locali – per ragioni diverse, da quelle più nobili, di tipo politico, a quelle un tantino più meschine, di calcolo personali – ha pregiudicato il proprio peso. In queste ore, con l'incombente spauracchio dell'imposizione romana di Fassino, sono al lavoro le diplomazie delle varie satrapie con il compito di verificare la percorribilità di una candidatura unitaria che abbia come dato unificante il tratto generazionale unito alla territorialità. Sapranno Davide Gariglio, Roberto Placido e Roberto Tricarico mettere da parte le ambizioni personali e trovare la strada di una candidatura alternativa in grado di dare uno sbocco al partito antifassiniano che man mano che si fa più concreta la designazione dell'ex ministro sta ingrossando le proprie file? Il tempo, che in politica non è mai una variabile indipendente, mai come in questo caso è tiranno. Ventiquattr'ore, al massino quarantotto e poi non resteranno che i rimpianti. |
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