La delusione degli "italiani ignoti" e il fallimento della seconda repubblica
Rischio elezioni
di Italia Futura , pubblicato il 12 agosto 2010
La seconda repubblica potrebbe avviarsi presto a conclusione. Se la minaccia di elezioni si concretizzasse ci troveremmo di fronte ad una sconfitta per il paese e per la classe politica che lo ha governato, oltre che ad un atto di grave irresponsabilità dinanzi ad uno scenario economico ancora fortemente instabile.
L'ennesima ordalia elettorale rappresenterebbe il peggior finale di una lunga e improduttiva stagione politica. Il bilancio della seconda repubblica è fallimentare. Secondo la maggior parte dei sondaggi, le persone che ritengono che l'Italia sia migliorata nel confronto con gli altri grandi paesi occidentali si contano sulle dita di una mano. E' invece opinione ampiamente condivisa che il nostro sia un paese bloccato, invischiato in una transizione infinita e privo di un progetto comune. I nodi che bloccano la crescita sono rimasti tutti irrisolti. Ma soprattutto il fallimento della seconda repubblica è certificato dalle parole di Berlusconi, che dopo quasi 10 anni da Presidente del Consiglio si dichiara impossibilitato a governare per colpa delle istituzioni che non è stato capace di riformare. Questa legislatura, che si era aperta con grandi aspettative e che ha anche messo in cantiere alcune iniziative importanti, si sta chiudendo con un conflitto istituzionale (e tra schizzi di fango) senza precedenti.
Paradossalmente, la prospettiva delle elezioni sembra elettrizzare proprio chi dovrebbe viverle come una sconfitta e invece spera che i 600.000 promotori della libertà e i milioni di leghisti pronti a mobilitarsi possano far dimenticare che la più ampia maggioranza della storia repubblicana si sia sciolta come neve al sole. Evidentemente, si ritiene che esistano gli ingredienti per un nuovo successo elettorale. Primo fra tutti l'identificazione di chi ha assassinato il governo, il responsabile unico del fallimento di un'altrimenti straordinaria stagione politica. E' successo nel '94 con Bossi, nella legislatura 2001-2005 con Casini e sta accadendo ora con Fini. Non è che Berlusconi non abbia motivi legittimi di lagnanza, ma saper gestire gli alleati (anche quelli riottosi), rispettare le istituzioni (o altrimenti riformarle) e contribuire a tenere il livello dello scontro politico entro limiti accettabili (anche in presenza di un'opposizione che conta poco su sé stessa e molto sulle inchieste della magistratura) sono qualità che non dovrebbero difettare a chi è ormai da quasi un ventennio un uomo politico. Berlusconi è stato uno dei più capaci imprenditori italiani e sa bene che, alla fine, dopo tutte le chiacchiere e le attenuanti, un leader si misura sulla base dei risultati. Questi, nel giudizio dei cittadini, sono deludenti e ciò conterà nella valutazione del suo operato più di tutte le elezioni vinte per difetto di concorrenza, grande capacità comunicativa e straordinari mezzi organizzativi e mediatici.
La centralità del momento elettorale e la connessa sacralità dell'investitura del leader rappresentano conquiste innegabili della seconda repubblica. Troppo spesso però si finisce per dimenticare che in Italia l'importanza del mandato popolare è svilita da un sistema elettorale che impedisce ai cittadini persino di scegliere i propri rappresentanti. Tutto ciò sembra non interessare a chi vuole solo mettere in scena un altro cinepanettone. Poco importa se gli spettatori sono sempre meno, la maggioranza dei giovani non vota, il paese sta (forse) uscendo faticosamente da una crisi economica drammatica grazie agli sforzi straordinari dei tanti "italiani ignoti" ai quali sarebbe doveroso dedicare un monumento. Questi italiani, uniche vere riserve della Repubblica, impediscono al sistema paese di sbriciolarsi e sentono la politica sempre più distante dai loro problemi quotidiani. Ma lo spettacolo deve andare avanti a dispetto di ciò che a buon diritto il paese reale pretenderebbe (governo, riforme e un minimo di rigore e decoro nei comportamenti). Si conta forse sul fatto che i cittadini siano anestetizzati da anni di brutture, scandali e promesse mancate.
La seconda Repubblica sta affondando tra veleni e dossier (di dubbia provenienza), distribuiti tramite giornali militanti (di destra e di sinistra) e siti di gossip, in spregio a qualsiasi regola di fair play, correttezza e civiltà. Qualcuno conta, tra l'altro, che questa palude di melma scoraggi qualsiasi velleità di partecipazione al dibattito pubblico di chi non è un politico di professione. E le sue speranze sembrano a questo punto ben riposte. Un assordante silenzio si leva dalla società civile. Le più importanti associazioni private, le personalità più in vista della finanza, del mondo economico, culturale e professionale si guardano bene anche solo dal commentare lo spettacolo indecente a cui assistiamo ogni giorno. Appare fondato il sospetto che l'Italia stia completando la sua trasformazione in un paese fai da te, dove, anche con una certa soddisfazione, si rivendica il dovere di pensare prima di tutto e soprattutto ai fatti propri. Una volta si usava dire con orgoglio che prima di essere imprenditori, banchieri, professionisti o sindacalisti si era cittadini e come tali si riteneva doveroso far sentire la propria voce nel dibattito pubblico anche sui temi di interesse generale. Oggi sembra prevalere un atteggiamento opposto. Fanno eccezione esponenti di primo piano del mondo cattolico ed ecclesiastico, che anche in questi giorni sono intervenuti con coraggio per criticare "il sottosviluppo morale" di un paese che ha difficolta' a ritrovarsi intorno a valori forti.
Se la storia recente dell'Italia ci insegna qualcosa è che andare alle elezioni, tanto più con questa indecorosa legge elettorale, non risolverà alcun problema. Perderemmo solo altri sei mesi in un momento cruciale per il paese e in un contesto economico internazionale tutt'altro che stabilizzato. Berlusconi, Fini e Bossi (il quale è spesso apparso essere qualcosa in più di un semplice alleato di governo) hanno dunque il dovere di chiudere uno scontro istituzionale che non è degno di un paese civile, di ricompattare la maggioranza sulla base di un programma anche minimo di riforme essenziali per i cittadini e di completare la legislatura. Se, al contrario, sceglieranno la via della rottura e delle elezioni, venendo meno agli impegni presi con gli italiani, saranno pienamente responsabili delle conseguenze, imprevedibili e potenzialmente gravissime, che un'ennesima stagione di scontri e di veleni potrà avere su un paese ricco di speranze e talenti ma sempre meno capace di guardare con fiducia alla politica e alle istituzioni.
L'ennesima ordalia elettorale rappresenterebbe il peggior finale di una lunga e improduttiva stagione politica. Il bilancio della seconda repubblica è fallimentare. Secondo la maggior parte dei sondaggi, le persone che ritengono che l'Italia sia migliorata nel confronto con gli altri grandi paesi occidentali si contano sulle dita di una mano. E' invece opinione ampiamente condivisa che il nostro sia un paese bloccato, invischiato in una transizione infinita e privo di un progetto comune. I nodi che bloccano la crescita sono rimasti tutti irrisolti. Ma soprattutto il fallimento della seconda repubblica è certificato dalle parole di Berlusconi, che dopo quasi 10 anni da Presidente del Consiglio si dichiara impossibilitato a governare per colpa delle istituzioni che non è stato capace di riformare. Questa legislatura, che si era aperta con grandi aspettative e che ha anche messo in cantiere alcune iniziative importanti, si sta chiudendo con un conflitto istituzionale (e tra schizzi di fango) senza precedenti.
Paradossalmente, la prospettiva delle elezioni sembra elettrizzare proprio chi dovrebbe viverle come una sconfitta e invece spera che i 600.000 promotori della libertà e i milioni di leghisti pronti a mobilitarsi possano far dimenticare che la più ampia maggioranza della storia repubblicana si sia sciolta come neve al sole. Evidentemente, si ritiene che esistano gli ingredienti per un nuovo successo elettorale. Primo fra tutti l'identificazione di chi ha assassinato il governo, il responsabile unico del fallimento di un'altrimenti straordinaria stagione politica. E' successo nel '94 con Bossi, nella legislatura 2001-2005 con Casini e sta accadendo ora con Fini. Non è che Berlusconi non abbia motivi legittimi di lagnanza, ma saper gestire gli alleati (anche quelli riottosi), rispettare le istituzioni (o altrimenti riformarle) e contribuire a tenere il livello dello scontro politico entro limiti accettabili (anche in presenza di un'opposizione che conta poco su sé stessa e molto sulle inchieste della magistratura) sono qualità che non dovrebbero difettare a chi è ormai da quasi un ventennio un uomo politico. Berlusconi è stato uno dei più capaci imprenditori italiani e sa bene che, alla fine, dopo tutte le chiacchiere e le attenuanti, un leader si misura sulla base dei risultati. Questi, nel giudizio dei cittadini, sono deludenti e ciò conterà nella valutazione del suo operato più di tutte le elezioni vinte per difetto di concorrenza, grande capacità comunicativa e straordinari mezzi organizzativi e mediatici.
La centralità del momento elettorale e la connessa sacralità dell'investitura del leader rappresentano conquiste innegabili della seconda repubblica. Troppo spesso però si finisce per dimenticare che in Italia l'importanza del mandato popolare è svilita da un sistema elettorale che impedisce ai cittadini persino di scegliere i propri rappresentanti. Tutto ciò sembra non interessare a chi vuole solo mettere in scena un altro cinepanettone. Poco importa se gli spettatori sono sempre meno, la maggioranza dei giovani non vota, il paese sta (forse) uscendo faticosamente da una crisi economica drammatica grazie agli sforzi straordinari dei tanti "italiani ignoti" ai quali sarebbe doveroso dedicare un monumento. Questi italiani, uniche vere riserve della Repubblica, impediscono al sistema paese di sbriciolarsi e sentono la politica sempre più distante dai loro problemi quotidiani. Ma lo spettacolo deve andare avanti a dispetto di ciò che a buon diritto il paese reale pretenderebbe (governo, riforme e un minimo di rigore e decoro nei comportamenti). Si conta forse sul fatto che i cittadini siano anestetizzati da anni di brutture, scandali e promesse mancate.
La seconda Repubblica sta affondando tra veleni e dossier (di dubbia provenienza), distribuiti tramite giornali militanti (di destra e di sinistra) e siti di gossip, in spregio a qualsiasi regola di fair play, correttezza e civiltà. Qualcuno conta, tra l'altro, che questa palude di melma scoraggi qualsiasi velleità di partecipazione al dibattito pubblico di chi non è un politico di professione. E le sue speranze sembrano a questo punto ben riposte. Un assordante silenzio si leva dalla società civile. Le più importanti associazioni private, le personalità più in vista della finanza, del mondo economico, culturale e professionale si guardano bene anche solo dal commentare lo spettacolo indecente a cui assistiamo ogni giorno. Appare fondato il sospetto che l'Italia stia completando la sua trasformazione in un paese fai da te, dove, anche con una certa soddisfazione, si rivendica il dovere di pensare prima di tutto e soprattutto ai fatti propri. Una volta si usava dire con orgoglio che prima di essere imprenditori, banchieri, professionisti o sindacalisti si era cittadini e come tali si riteneva doveroso far sentire la propria voce nel dibattito pubblico anche sui temi di interesse generale. Oggi sembra prevalere un atteggiamento opposto. Fanno eccezione esponenti di primo piano del mondo cattolico ed ecclesiastico, che anche in questi giorni sono intervenuti con coraggio per criticare "il sottosviluppo morale" di un paese che ha difficolta' a ritrovarsi intorno a valori forti.
Se la storia recente dell'Italia ci insegna qualcosa è che andare alle elezioni, tanto più con questa indecorosa legge elettorale, non risolverà alcun problema. Perderemmo solo altri sei mesi in un momento cruciale per il paese e in un contesto economico internazionale tutt'altro che stabilizzato. Berlusconi, Fini e Bossi (il quale è spesso apparso essere qualcosa in più di un semplice alleato di governo) hanno dunque il dovere di chiudere uno scontro istituzionale che non è degno di un paese civile, di ricompattare la maggioranza sulla base di un programma anche minimo di riforme essenziali per i cittadini e di completare la legislatura. Se, al contrario, sceglieranno la via della rottura e delle elezioni, venendo meno agli impegni presi con gli italiani, saranno pienamente responsabili delle conseguenze, imprevedibili e potenzialmente gravissime, che un'ennesima stagione di scontri e di veleni potrà avere su un paese ricco di speranze e talenti ma sempre meno capace di guardare con fiducia alla politica e alle istituzioni.
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