PERCHÉ LAVORARE?
Tempo fa mia moglie ed io avevamo assunto per una sua cugina anziana, inferma e senza altri parenti, una badante. Sarebbe stato più semplice e comodo pensionarla presso una casa di riposo, ma l'interessata non lo voleva. Alla sola idea veniva presa dal terrore, desiderando irremovibilmente di continuare a vivere nella sua abitazione.
Impossibilitati ad assisterla direttamente assumemmo una donna di nazionalità ucraina, ma le cose non andarono molto bene. L'assistente familiare si rivelò inadatta, per non dir di peggio. Il ruolo richiede pazienza ed abnegazione, mentre la nuova collaboratrice era spesso ubriaca e malmenava la malcapitata sia fisicamente che psicologicamente. Purtroppo ce ne accorgemmo con ritardo in quanto la cugina non ci raccontava nulla per paura delle minacce subite. Era, a nostra insaputa, completamente in balia dei condizionamenti psicologici della badante, incapace a ribellarsi. Quando giornalmente passavamo a salutarla sembrava tutto filasse liscio. L'ucraina – con noi presenti – era di una gentilezza estrema e sembrava molto premurosa verso la cugina. Poco alla volta però, piccoli indizi e lo stato di salute sempre più precario dell'anziana ci misero in allarme. Inizialmente stentavamo a crederlo, poi i peggiori sospetti divennero certezze. Non senza qualche strascico di piccole e fastidiose ripicche, licenziammo la badante. Complicazioni di poco conto, dato che tutto era stato fatto a norma di legge.
Ne assumemmo un'altra, Daniela, di nazionalità rumena e questa volta azzeccammo la scelta. La nuova assistente familiare non ci deluse mai, le cure e le attenzioni che fu capace di dare alla cugina furono veramente affettuose. In poco tempo lo stato di salute e quello umorale migliorarono sensibilmente. Da poco scomparsa, gli ultimi anni della anziana parente furono, anche se martoriati dalla malattia e dalla vecchiaia, sereni.
Daniela era stata assunta da parecchi mesi ormai, ma avevamo ancora il problema di versarle lo stipendio. Non avendo un conto corrente eravamo costretti ogni fine mese a recarci all'istituto di credito e prelevare dei contanti per pagarla. Finalmente la convincemmo a vincere la sua naturale ritrosia per le banche (sapesse la mia!) e ad aprirne uno. Quel giorno la accompagnai alla filiale per facilitarla negli adempimenti burocratici.
Ad un angolo di strada incontrammo una rom che faceva accattonaggio, la ignorai e passai oltre, ma Daniela no. Si fermò ed iniziarono a parlare nella loro lingua. Lo scambio di battute durò un po' e quando Daniela mi raggiunse le chiesi cosa si fossero dette. «Le ho chiesto perché non si cerca un lavoro invece di chiedere la carità; perché qui di lavoro ce n'è.» Disse. «Ah…» risposi un po' sorpreso della sua iniziativa «e cosa ti ha risposto?» Mi guardò perplessa e continuò. «La zingara mi ha raccontato di essere venuta a Trieste mesi fa con due figli piccoli. Inizialmente ha dormito sulle panchine della stazione ferroviaria, poi, grazie all'interessamento di non so quale associazione, le hanno dato un alloggio. Avuto l'appartamento ha fatto venire qui altri parenti dalla Romania e le danno pure dei soldi. Riesce a spedire nel suo Paese anche 500euro al mese. Mi ha chiesto perché dovrebbe lavorare e se io fossi capace di fare altrettanto.» Aveva accelerato il passo, come fosse infastidita e volesse allontanarsi prima possibile dalla mendicante. «Non fa una grinza» replicai, «cosa le hai risposto?» Abbassò lo sguardo. «Nulla, perché mi sono sentita una scema.» Pensai che presto sarebbe scaduto il trimestre e avremmo dovuto versare i contributi previdenziali di Daniela. Parte di questi sarebbero inevitabilmente finiti nelle tasche della zingara. «Sapessi io…» risposi con amarezza.
24 agosto 2010
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