di Vittorio Feltri
Non mi sorprende che Gianfranco Fini, da poco uscito dal Popolo della libertà e in mille faccende politiche affaccendato, sorvoli sui propri affari di famiglia poco chiari e non voglia rispondere, se non per vie legali, alle inchieste giornalistiche, tra cui quella dell'appartamento a Monte-Carlo lasciatogli in eredità da una fan allo scopo di finanziare An e finito, invece, nella disponibilità del fratello di Elisabetta Tulliani, compagna del presidente della Camera.
Stupisce semmai il silenzio di quasi tutta la stampa nazionale, notoriamente simpatizzante per l'opposizione al governo Berlusconi, sull'intera vicenda piuttosto meritevole di essere chiarita. Soprattutto meraviglia il motivo pretestuoso addotto dai quotidiani che si danno arie da indipendenti per non parlarne: si tratta di fango sparso sulla testa di Fini dai servi del Cavaliere, scrivono le penne terziste del Corriere della sera e quelle progressiste di Repubblica. Ma non si rendono conto che le notizie sono notizie, e non opinioni, quindi non possono essere cestinate soltanto perché, come in questo caso, disturbano l'uomo in cui hanno sempre confidato per mettere in difficoltà il premier dall'interno della maggioranza, visto che la minoranza non è attrezzata per farlo dall'esterno.
Ma c'è modo e modo per autocensurarsi. Attenersi ai fatti, e raccontarli con linguaggio sobrio o addirittura algido, può essere una soluzione dignitosa. Viceversa i giornaloni citati hanno liquidato l'incidente immobiliare come la solita campagna denigratoria contro gli avversari del «dittatore» di Arcore. Poco importa se gli articoli del Giornale e di Libero, che sarebbero poi i ventilatori da cui è schizzato il fango, fossero nella circostanza ben documentati, tanto è vero che non sono mai stati contestati da nessuno nella sostanza. Corriere e Repubblica hanno preferito dedicare il loro spazio prezioso ad altre cronache, forse per non dare un dispiacere all'ex fascista divenuto un'icona della sinistra solo perché ha dismesso la camicia nera e indossato quella rossa pur di farsi apprezzare da chi fino a ieri gli sputava addosso. La Repubblica in particolare si è distinta nella difesa d'ufficio di Fini, descrivendolo quale eroico salvatore della patria infestata dal berlusconismo, più minaccioso della peste.
Da notare che il foglio debenedettiano, pronto ad accusare me e altri di killeraggio in favore del Cavaliere e di ricorrere a dossier onde sputtanarne i detrattori, martedì scorso rinverdiva il filone del gossip riservando un paginone fitto titolato così: «Io nel letto di Silvio con altre due». Ecco il giornalismo serio di cui si gloria La Repubblica. Una sbirciatina sotto le lenzuola, un'altra sbirciatina ai verbali di interrogatorio alle escort (agevolmente recuperati in procura) e giù una colata di «piombo» da offrire ai suoi lettori, che saranno pure illuminati ma si eccitano leggendo delle prodezze sessuali del presidente del Consiglio. Ogni quotidiano conquista il pubblico con il materiale di cui dispone.
La Repubblica con i diari notturni delle mignotte da 1.000 euro a botta; Il Giornale viceversa con gli appartamenti di An (valore milioni di euro) venduti a società offshore a quattro soldi e occupati dai familiari del presidente della Camera. Una storia, questa, destinata a non finire qui perché gli iscritti di An hanno la sensazione di essere stati presi in giro.Storia alla quale se n'è aggiunta un'altra abbastanza strana: la causa intentata da Luciano Gaucci a Elisabetta Tulliani cui l'imprenditore avrebbe intestato vari beni, immobili e mobili, nel periodo nel quale egli aveva grane con i creditori e che, secondo accordi, la signora avrebbe poi dovuto restituire al proprietario effettivo. Cosa che non ha fatto. Perché? Tulliani spiega: è tutta roba mia, me la sono comprata con i proventi di una vincita al Superenalotto. Ma va? Pensavo gliela avesse regalata Babbo Natale.
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