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IL GRANDE TEATRO 2010-2011 evento segnalato da Giampaolo BESCHIN (redazione@verona.net) ulteriori informazioni già disponibili sul website WWW.VERONA.NET Agosto volge al termine e con esso le rassegne teatrali all’aperto che in questa calda estate hanno animato le serate dei veronesi. E’ già tempo di pensare alle rassegne invernali e noi di verona.net lo facciamo offrendoVi una succosa anteprima, ovvero presentando in esclusiva con quasi tre mesi d’anticipo tutto il programma de Il Grande Teatro. L’attesa la rassegna di prosa organizzata dal Comune di Verona inizierà il 2 novembre e si concluderà il 10 aprile 2011: otto spettacoli in programma al Teatro Nuovo, per un totale di quarantotto recite, dal martedì alla domenica, con validi attori e buoni registi, graditi ritorni ed alcune interessanti new entry. Un cartellone in linea con quello delle ultime edizioni, che nonostante i budget sempre più esigui a disposizioni delle amministrazioni locali sorride alle migliori produzioni teatrali nazionali, puntando su spettacoli che hanno già riscosso un buon successo di pubblico e critica negli ultimi mesi. Tra i protagonisti Gabriele Lavia, Ugo Pagliai, Eros Pagni, Natalino Balasso, Carlo Giuffrè, Enzo Vetrano, Toni Servillo ed Elisabetta Pozzi. dal 2 al 7 novembre 2010: TRILOGIA DELLA VILLEGGIATURA di Carlo Goldoni con Andrea Renzi, Toni Servillo Paolo Graziosi. Regia di Toni Servillo dal 30 novembre al 5 dicembre 2010: TUTTO SU MIA MADRE adattamento di Samuel Adamson dal film di Pedro Almodóvar con Elisabetta Pozzi dal 14 al 19 dicembre 2010: IL MALATO IMMAGINARIO di Molière con Gabriele Lavia, Mauro Mandolini e Giulia Galiani. Regia di Gabriele Lavia dal 18 al 23 gennaio 2011: DONA FLOR E I SUOI DUE MARITI dal romanzo di Jorge Amado con Caterina Murino e Daniele Liotti. Regia di E. Giordano dal 1 al 6 febbraio 2011: I CASI SONO DUE di Armando Curcio con Carlo Giuffrè e Angela Pagano. Regia di Carlo Giuffre dal 1 al 6 marzo 2011: I GIGANTI DELLA MONTAGNA di Luigi Pirandello con Enzo Vetrano e Stefano Randisi. Regia E. Vetrano e S. Randisi dal 15 al 20 marzo 2011: RUSTEGHI da Carlo Goldoni con Natalino Balasso, Eugenio Allegri e Jurij Ferrini. Regia di G.Vacis dal 5 al 10 aprile 2011: ASPETTANDO GODOT di Samuel Beckett con Ugo Pagliai ed Eros Pagni. Regia di Marco Sciaccaluga BIGLIETTI SINGOLI: platea 25,00; balconata 22,00; galleria 15,00; 2° galleria 9,00 ABBONAMENTI platea 176,00; balconata 145,00; galleria 95,00; 2° galleria 55,00 ABB. RIDOTTI platea 145,00; balconata 115,00; galleria 75,00; 2° galleria 43,00 I vecchi abbonamenti possono essere confermati, presso la biglietteria di Palazzo Barbieri (045.8066485 e 045.8066488), tra il 4 ed il 12 ottobre, mentre i nuovi abbonamenti potranno essere acquistati tra il 14 ed il 22 ottobre. Dal 26 ottobre 2010 inizierà infine la vendita dei biglietti per i singoli spettacoli
Tempo fa mia moglie ed io avevamo assunto per una sua cugina anziana, inferma e senza altri parenti, una badante. Sarebbe stato più semplice e comodo pensionarla presso una casa di riposo, ma l'interessata non lo voleva. Alla sola idea veniva presa dal terrore, desiderando irremovibilmente di continuare a vivere nella sua abitazione. Impossibilitati ad assisterla direttamente assumemmo una donna di nazionalità ucraina, ma le cose non andarono molto bene. L'assistente familiare si rivelò inadatta, per non dir di peggio. Il ruolo richiede pazienza ed abnegazione, mentre la nuova collaboratrice era spesso ubriaca e malmenava la malcapitata sia fisicamente che psicologicamente. Purtroppo ce ne accorgemmo con ritardo in quanto la cugina non ci raccontava nulla per paura delle minacce subite. Era, a nostra insaputa, completamente in balia dei condizionamenti psicologici della badante, incapace a ribellarsi. Quando giornalmente passavamo a salutarla sembrava tutto filasse liscio. L'ucraina – con noi presenti – era di una gentilezza estrema e sembrava molto premurosa verso la cugina. Poco alla volta però, piccoli indizi e lo stato di salute sempre più precario dell'anziana ci misero in allarme. Inizialmente stentavamo a crederlo, poi i peggiori sospetti divennero certezze. Non senza qualche strascico di piccole e fastidiose ripicche, licenziammo la badante. Complicazioni di poco conto, dato che tutto era stato fatto a norma di legge. Ne assumemmo un'altra, Daniela, di nazionalità rumena e questa volta azzeccammo la scelta. La nuova assistente familiare non ci deluse mai, le cure e le attenzioni che fu capace di dare alla cugina furono veramente affettuose. In poco tempo lo stato di salute e quello umorale migliorarono sensibilmente. Da poco scomparsa, gli ultimi anni della anziana parente furono, anche se martoriati dalla malattia e dalla vecchiaia, sereni. Daniela era stata assunta da parecchi mesi ormai, ma avevamo ancora il problema di versarle lo stipendio. Non avendo un conto corrente eravamo costretti ogni fine mese a recarci all'istituto di credito e prelevare dei contanti per pagarla. Finalmente la convincemmo a vincere la sua naturale ritrosia per le banche (sapesse la mia!) e ad aprirne uno. Quel giorno la accompagnai alla filiale per facilitarla negli adempimenti burocratici. Ad un angolo di strada incontrammo una rom che faceva accattonaggio, la ignorai e passai oltre, ma Daniela no. Si fermò ed iniziarono a parlare nella loro lingua. Lo scambio di battute durò un po' e quando Daniela mi raggiunse le chiesi cosa si fossero dette. «Le ho chiesto perché non si cerca un lavoro invece di chiedere la carità; perché qui di lavoro ce n'è.» Disse. «Ah…» risposi un po' sorpreso della sua iniziativa «e cosa ti ha risposto?» Mi guardò perplessa e continuò. «La zingara mi ha raccontato di essere venuta a Trieste mesi fa con due figli piccoli. Inizialmente ha dormito sulle panchine della stazione ferroviaria, poi, grazie all'interessamento di non so quale associazione, le hanno dato un alloggio. Avuto l'appartamento ha fatto venire qui altri parenti dalla Romania e le danno pure dei soldi. Riesce a spedire nel suo Paese anche 500euro al mese. Mi ha chiesto perché dovrebbe lavorare e se io fossi capace di fare altrettanto.» Aveva accelerato il passo, come fosse infastidita e volesse allontanarsi prima possibile dalla mendicante. «Non fa una grinza» replicai, «cosa le hai risposto?» Abbassò lo sguardo. «Nulla, perché mi sono sentita una scema.» Pensai che presto sarebbe scaduto il trimestre e avremmo dovuto versare i contributi previdenziali di Daniela. Parte di questi sarebbero inevitabilmente finiti nelle tasche della zingara. «Sapessi io…» risposi con amarezza. Pubblicato su Freedom24 24 agosto 2010
Finisce che il partito del Sud lo fa Umberto Bossi. Lo sbarco in Sicilia affidato al Ministro Maroni? di Salvatore Parlagreco 28 agosto 2010 21:34 I Normanni strapparono la Sicilia agli arabi con duecento cavalieri, piu' o meno. Perche' non ci dovrebbe riuscire Umberto Bossi, affidando lo sbarco nell'Isola al Ministro Maroni, eroe dell'antimafia, apprezzato da amici e nemici? Gli arabi non avevano alcuna voglia di imbracciare le armi, si occupavano d'altro allora – scienze, agricoltura, matematica, idraulica – cosi' fecero come i romani con Sagunto, si lasciarono scippare la sedia dal sedere e quando arrivarono i Normanni non se la presero piu' di tanto, perche' quei bifolchi, cioe' i Normanni, avevano tanto bisogno di loro e la nuova storia avrebbe potuto avvantaggiarli: potere senza responsabilita'. Accanto al re, come consiglieri, dettando il da farsi. Che cosa c'e' di meglio? L'annuncio dello sbarco in Sicilia della Lega Nord e' stato dato dall'Espresso: "Arriva la Lega Sud", titola il "primo piano" nel numero appena arrivato in edicola. La notizia deve avere provocato qualche brivido nelle stanze del potere, ma non piu' di tanto. < embed> Piuttosto che sentirsi come i romani alle prese con Sagunto, troppo presi da dispute casalinghe, rimuginano sul "cul de sac" in cui si sono cacciati, a cominciare dal partito di maggioranza, il Pdl, per finire agli oppositori, incerti e scontenti. Rimuginano, sentendosi in colpa, gli annunci della prossima apertura di un nuovo store, il Partito del Sud, annunci ripetuti (e corretti) un giorno si' ed uno no, e spediti a destinatari disattenti e disamorati, preferibilmente a stomaco vuoto, senza altra ragione che non fosse quello di annunciare e basta. Deterrenza comunicazionale, la chiamano. Umberto da Cassano Magnago, scrive l'Espresso, ha preparato lo sbarco nel Sud e designato il condottiero che, solitario, conquistera' il Mezzogiorno partendo dall'Isola, dove verrebbe accolto a braccia aperte perche'e' uno che ci sa fare e non ha preso a pesci in faccia ne' i giudici ne' i poliziotti, come Silvio Berlusconi e i suoi. E' lui, dunque, il Ruggero della Padania, che scende dal Nord alla volta di Palermo per conquistare il Regno? Roberto il sassofonista ha i numeri giusti, secondo Bossi. Sa bene che il lavoro lo fanno le toghe e i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri, non Palazzo Chigi, percio' non gli viene in testa di passare per le armi, (in senso figurato, nell'accezione di Berlusconi a proposito dei tribunali che, come plotoni d'esecuzione, lo aspetterebbero al varco), gli uomini che gli stanno regalando successo, notorieta' e carisma. Sul buonsenso di Maroni, Umberto puo' contare, almeno fino a quando avra' accanto un uomo di buonsenso come Manganelli, che gli fa sapere le cose come stanno (e non come conviene). Sicche', oltre alla conquista dell'intero Nord – sospetta l'Espresso – la Lega ha le risorse per realizzare il progetto piu' ambizioso, una Padania che s'allunga fino a raggiungere Capo Passero, insomma. Gianfranco Micciche', che con Raffaele Lombardo, ha discettato sulla questione del partito del Sud con alti e bassi inquietanti, cerca di convincere da tempo immemorabile il Cavaliere sull'opportunita' strategica di un partito del Sud alleato del Pdl e in grado di bilanciare l'invadenza leghista e rastrellare i voti dei meridionali scontenti della strategie tremontiana. Ma per quanto sforzi abbia fatto, Berlusconi – sconsigliato vivamente dai nemici di Micciche', che sono tanti, non si e' persuaso affatto di concedere un altro lasciapassare al suo sottosegretario. Sarebbe stato un azzardo, ha spaccato il Pdl invece che realizzare un soggetto politico fiancheggiatore. Chi puo' dire quelle che va a combinare con un partito tutto suo? Raffaele Lombardo, dal canto suo, ha altre gatte da pelare per il momento: il suo nuovo governo, quello che dovrebbe arrivare alla fine del mandato e indicare la coalizione elettorale, e' ancora virtuale. immerso nella palude dei veti incrociati e nei tatticismi romanocentrici che allungano la loro ombra anche sull'Isola. Piu' che Raffaele il Temporeggiatore, il governatore si e' trasformato in un alchimista, un apprendista stregone. Una specie di Levingstone fra gli intrighi siciliani, quell'esploratore europeo che voleva sapere tutto dell'Africa, passato alla storia con la felice espressione di meraviglia di colui che era andato a cercarlo in terre sconosciute: "Levingstone, I suppose". Il governatore c'e', insomma, ma e' inseguito da se stesso, nelle frenetiche giornate dedicate a ricuciture e strappi fra Rimini, Roma, Catania e Palermo. E ovunque vada trova un cartello con la scritta: Hic sunt leones". Saggezza araba o romana? Normanni alle porte? Ridicolo, commentano in Sicilia, non accadra' mai. Non sono Normanni, ma celti. Altra pasta. Normanni o Celti, sempre Maroni e' il condottiero. E non c'e' da stare allegri, pensa qualcuno, che pero' non rappresenta affatto il pensiero prevalente. Se arriva la Lega Sud nell'Isola, non e' certo la fine del mondo. Mettetevi nei panni di chi deve trovare la quadra e gira a vuoto, e sa – per sentito dire - che la quadra la trova solo Umberto da Cassano Magnago, il senatur. Finisce che a un certo punto che prepara lo sbarco ai celti-normanni, persuaso – come gli arabi – che con i nuovi arrivati, autonomisti e tosti, ci si puo' perfino guadagnare. Un'alleanza, d'altra parte, fra Mpa e Lega Nord c'e' stata.
Miraggi d'estate? Leggendo La Padania arriva la conferma: "Dobbiamo dare una casa e un simbolo a un Sud senza riferimenti che non ce la fa piu'.", scrive il quotidiano leghista. In Via Bellerio, sede della Lega Nord, sostiene l'Espresso, "pianificano anche la mossa piu' spettacolare: lo sbarco in grande stile al Sud". Sara' necessario che a prepararlo siano i siciliani della Padania, come fecero gli italiani d'America nell'ultimo conflitto mondiale. Una cosa e' sicura, infatti: senza gli isolani i nuovi normanni restano sul bagnasciuga invece che risalire la Penisola attraverso lo Stretto. Come insegna la storia.
Intervista a IMD, elemento di punta della squadra "Catturandi" di Palermo I.M.D. è un poliziotto, anzi, uno sbirro. Elemento di punta della Squadra Catturandi di Palermo, un pugno di uomini che hanno compiuto in questi anni una sequenza impressionante di arresti di pericolosissimi latitanti: dai Lo Piccolo a Giovanni Brusca, da Carlo Greco a Bernardo Provenzano e tantissimi altri. In questi momenti alcuni di voi stanno subendo gravi minacce personali, il team è a rischio? Le minacce ci sono sempre state, sono cicliche e noi ci conviviamo. Certamente queste ultime, per la tipologia con cui sono state fatte, sono piuttosto inquietanti. Ovviamente però, le indagini continueranno nonostante tutto. Parliamo d'altro. Ci sono degli aspetti del Suo ultimo libro, "100% SBIRRO", che mi hanno non solo colpito, ma indignato. Mi riferisco all'episodio accaduto al suo collega Vittorio che, inseguendo Carlo Greco, distrusse una scalcinata Y10. La Corte dei Conti – ritenendolo responsabile dell'incidente a causa della guida spericolata (un inseguimento si può fare rispettando i limiti di velocità?) – gli mandò un conto salatissimo, pari al valore di una automobile nuova. Pure scandaloso risulta il fatto, non raro, vi sia capitato di finanziare di tasca vostra delle spese necessarie per il prosieguo delle indagini. Adesso, sotto questo profilo, com'è la situazione? La mia vena da componente del SIAP, una delle più importanti sigle sindacali della Polizia di Stato purtroppo non mi abbandona mai, ed anche quando scrivo e racconto le mie "avventure", come in "100% SBIRRO", traspare a volte l'amarezza e la rabbia per tante storture che vorrei non esistessero in una Amministrazione come quella della Polizia di Stato, per lo più fatta da gente meravigliosa e capace di grandi opere. Ma, rispondendo alla sua domanda, devo dire che poco o nulla è cambiato da allora ad oggi. Purtroppo, certe spese sono imprevedibili e non sono iscrivibili a bilancio, in quanto sono conseguenze imponderabili di esigenze investigative. Spesso siamo costretti ad anticipare personalmente il denaro ed aspettare i lunghi tempi della burocrazia per i rimborsi. La cattura di Gianni Nicchi a Palermo, avvenuta il 5 dicembre, o per quella di Domenico Raccuglia avvenuta prima ancora ha richiesto un grosso impegno, tradotto in molte ore di lavoro straordinario. Il pagamento del 50% di quanto dovuto – voci di corridoio affermano – ci verrà forse corrisposto a settembre, quasi nove mesi dopo. Sono tempi ancora rapidi in confronto al pagamento degli straordinari resisi necessari per la cattura di Bernardo Provenzano, corrisposti con due/tre anni di ritardo, dopo proteste anche di piazza e l'intervento dei sindacati di polizia. Un trattamento ingiusto, con l'aggravante di penalizzare una squadra quale la vostra che rappresenta una delle punte di diamante degli organi di polizia per impegno e risultati ottenuti. Non essere adeguatamente ricompensati può essere demotivante, soprattutto per altri settori delle forze dell'ordine che, per incarichi e competenze, possono avere minori motivazioni. Sarebbe necessario, più in generale, investire maggiormente sulla professionalità delle forze di polizia che si tradurrebbe in maggiore garanzia di sicurezza e legalità per tutti i cittadini.
Le intercettazioni ambientali e telefoniche sono state determinanti per i successi da voi conseguiti. Da tempo si discute di una riforma di questi strumenti investigativi in direzione di una maggior tutela della privacy del cittadino. Visto che la legge non è ancora stata modificata vuole fare un appello? Sono degli strumenti di indagine fondamentali ed importantissimi. Bisogna essere saggi e valutare il confine tra il loro uso legittimo e quello distorto, che può minacciare la privacy del cittadino. La legge attuale non è una cattiva legge, sebbene migliorabile. Quando abbiamo l'esigenza di indagare uno o più soggetti dobbiamo rivolgerci ad un PM, il quale rilascia un decreto d'urgenza che deve essere autorizzato dal GIP. Questo richiede circa 48 ore e la validità del decreto è di 40 giorni con successivi rinnovi ogni quattro settimane, senza scadenza. Aspetto per noi molto importante, in quanto nel caso della caccia ai latitanti abbiamo bisogno di tempi lunghi. È praticamente impossibile che dalle conversazioni dei mafiosi emerga qualcosa di chiaro e diretto. Infatti cerchiamo di comprendere le loro abitudini di vita, di capirne la routine, per poterci mettere in allarme quando qualcosa di anomalo ed insolito dovesse manifestarsi. Una modifica dell'attuale legge nella direzione di porre un termine di fine intercettazioni definitivo sarebbe per noi un grosso limite. Già ora abbiamo le nostre difficoltà, infatti quando il decreto di proroga giunge in ritardo non è infrequente che l'operatore telefonico ci scolleghi l'intercettazione in corso. Figuriamoci cosa accadrebbe se chi dovesse disporre l'autorizzazione fosse un collegio di tre giudici i quali dovrebbero trovare tempo e luogo per riunirsi e discuterne il merito. I tempi burocratici sarebbero insopportabili. Non lo strumento d'indagine si dovrebbe colpire, ma l'uso che delle intercettazioni viene fatto, a volte troppo disinvolto e strumentale. Bisognerebbe punire i responsabili della violazione del segreto d'ufficio, comprendere dove stanno le falle ed intervenire. E' un reato che prevede fino ad un anno di reclusione e tre anni di sospensione dal servizio, ma non viene fatto.
Nel Suo libro racconta di come un episodio casuale – una Sua visita in banca, il riconoscimento di un soggetto già sotto controllo e del suo amichevole rapporto con il direttore – abbia fatto emergere conti correnti intestati ad ignari cittadini, fidi ingiustificati, ecc. Il direttore fu ovviamente denunciato e licenziato. Qual'è il grado di collaborazione che avete nella lotta alla mafia con gli istituti di credito? In realtà è un rapporto monodirezionale. Le banche sono solamente tenute per legge a segnalare alla Guardia di Finanza movimenti di somme oltre ad un certo importo. Il direttore della banca invece potrebbe segnalare eventuali anomalie, ma questo non succede quasi mai, è suo interesse far sì che chi movimenta grosse somme di denaro non abbia troppe difficoltà. Siamo sempre noi che chiediamo accertamenti nei riguardi di persone sotto indagine, richiedendo a tutte le banche d'Italia lo stato finanziario del soggetto.
Immagino i tempi… Alcuni istituti sono molto tempestivi nel risponderci, altri meno. Molto meno.
La squadra Catturandi di Palermo in azione durante un blitz antimafia I molti latitanti che avete catturato hanno ridisegnato l'organigramma della mafia siciliana. Ora rimane da catturare quello che è considerato tra i primi cinque latitanti al mondo, con più di 50 omicidi alle spalle: Matteo Messina Denaro. Dopo gli arresti dei Lo Piccolo, Raccuglia e, soprattutto, di Provenzano è indubbio che il ruolo di Matteo Messina Denaro sia divenuto predominante per carisma e potere finanziario per lo meno nella Sicilia occidentale.
Si dice che Matteo Messina Denaro sarebbe depositario di un archivio della mafia, qual'è la vostra idea al riguardo? Noi non pensavamo che Bernardo Provenzano potesse conservare molti "pizzini" nel suo covo. Trovarli fu per noi una sorpresa e quei biglietti ci aiutarono molto a comprendere meglio vari intrecci. Preso Provenzano pensavamo che gli altri latitanti non ripetessero lo stesso errore, invece con l'arresto di Lo Piccolo trovammo una valigia piena di foglietti e addirittura un libro mastro con l'elenco di tutti quelli sottoposti al pagamento del pizzo. E' probabile quindi si tratti di una esigenza organizzativa, ma Matteo Messina Denaro è una persona molto scaltra ed accorta e credo che queste catture abbiano invece a lui insegnato qualcosa. Non credo troveremo nulla quando lo arresteremo, ma è anche possibile che questo archivio esista e si trovi in un altro luogo rispetto al suo covo.
Qual'è il grado di collaborazione con le polizie di altre nazioni? Con gli ultimi accordi l'operatività è migliorata molto, almeno in ambito europeo. Per esempio abbiamo recentemente catturato un latitante siciliano tramite la gendarmeria francese su segnalazione di quella spagnola. Tutto ciò con il supporto di nostri agenti che fungevano da interpreti per la polizia iberica, in quanto il latitante parlava in dialetto siciliano con i suoi contatti. Quando andiamo all'estero non siamo operativi, ma siamo sempre in supporto alla polizia locale. Diversi sono i casi di intervento fuori dal territorio europeo, perché le difficoltà aumentano in quanto in certi Paesi il reato di associazione mafiosa non è contemplato.
In questi casi i servizi segreti italiani sono d'aiuto? I servizi segreti collaborano attivamente con noi e spesso ci passano preziose informazioni. Ovviamente, proprio per loro natura, di ciò non viene data notizia. Però la collaborazione c'è ed è proficua.
Il rapporto con l'Arma dei Carabinieri è di concorrenza o c'è sinergia? Usualmente c'è della sana concorrenza. Quando questa sfocia in rivalità è perché la procura che ci coordina tiene, per così dire, un piede in due scarpe. Quando c'è uno scontro o una sovrapposizione è quasi sempre un problema di coordinamento tra magistrati. A Palermo non abbiamo avuto dei grossi problemi anche se è innegabile che c'è della concorrenza in quanto come esiste la sezione catturandi della polizia, esiste pure quella dei Carabinieri dei ROS. Il loro ultimo latitante di rilievo preso è stato Totò Riina, avvenuto nell'ormai lontano 1993. Tutti gli altri arresti "eccellenti" sono stati messi a segno dalla "catturandi" e questo è probabilmente dovuto al tipo di struttura ed organizzazione del nostro ufficio. Forse disponiamo di una marcia in più.
Nel nostro ordinamento le indagini sono gestite dai PM. Preferireste forse che queste fossero coordinate da un organo di polizia? Dipende molto dal tipo di PM. Ce ne sono alcuni che ci sono molto vicini e partecipano attivamente alle indagini, spesso aiutandoci a districarci nella loro complessità. Altri invece rimangono più distanti e le inchieste vengono svolte interamente dalla polizia giudiziaria. Questo è quanto prevede la legge e trovo sia una giusta garanzia per i cittadini che le indagini della polizia vengano controllate dalla magistratura. Quando il PM è esperto e preparato tutto funziona molto bene, quando il magistrato è ancora inesperto è la polizia giudiziaria che in un certo senso lo guida.
Cito dalla sua ultima pubblicazione "100% SBIRRO": "[...]ricordo il mio sdegno quando scoprii con sommo stupore che un ministro della Repubblica di allora si occupava indirettamente della difesa di Fardazza [Vito Vitale, nda]. Giusy [sorella di Vito, arrestata in seguito pure lei, nda] lo chiamò al cellulare mentre era in Parlamento. [...] Mi pare [...] al limite dell'indecenza che la sorella di un latitante possa contattare via telefono persino un ministro [...] per parlare della situazione processuale del fratello." Ecco, la penso anch'io come lei. Il nome di questo ministro? Tralasciamo questa domanda, manca solo che mi metto a fare nomi di ministri. Questa è una delle cose che la gente vorrebbe sapere, ma devo attenermi al mio ruolo e lascio ad altri l'incombenza di certe risposte. Noi abbiamo riferito all'autorità giudiziaria e se questi non vi hanno individuato elementi di rilevanza penale la storia è chiusa.
I Vostri successi hanno contribuito in modo determinante a risvegliare la coscienza civile dei Palermitani e non solo. Penso alle associazioni quali Addiopizzo e altre. Sono solo dei fuochi di paglia o è una presa di posizione, un cambiamento di coscienza che si sta radicando sul territorio? Sono dei movimenti che si stanno radicando sul territorio, è una presa di coscienza sincera ed è un passo in avanti rispetto alla situazione di solo pochi anni fa. Dai media a volte pare si tratti di un fenomeno vastissimo, ma è piuttosto un germoglio. Associazioni come "Addiopizzo", "Ammazzateci tutti", "Libera", ecc. – alcune più, altre meno – sono espressioni che partono dal basso, ma che devono ancora crescere. Cercano di coinvolgere la società civile, anche con successo, ma siamo proprio agli inizi e non possiamo cantare vittoria. Ancora oggi molti cittadini subiscono il pizzo, molti sono collusi a vario grado con la mafia e quindi siamo ancora lontani da una vera e propria rivoluzione culturale.
Esiste, secondo l'idea che Lei può essersi fatto, un accordo tra Stato e mafia? Da quello che dalle nostre indagini è emerso, qualcosa di strano sembra ci sia. Nel caso Provenzano, per esempio, i Carabinieri scoprirono delle talpe in Procura. Una segretaria di un magistrato e due sottufficiali, uno della Guardia di Finanza e uno dell'Arma dei Carabinieri che operavano al nostro fianco – nel senso che partecipavano attivamente alle indagini sul campo dei loro rispettivi uffici – riferivano sistematicamente a Provenzano. Ed in Procura, per chi sa guardare e ascoltare non è impossibile farsi un'idea sullo stato delle indagini di un altro organo inquirente; d'altronde, non è difficile sbirciare un decreto appoggiato sul tavolo dell'ufficio intercettazioni. Questo però potrebbe significare l'esistenza di "normali" mele marce, non di vero e proprio accordo tra Stato e mafia… Certamente, però quando qualcuno riesce a rimanere latitante per tanto tempo, pur essendo ricercato da mezzo mondo e quando il cerchio sembra ormai chiuso e questo riesce comunque, all'ultimo momento, a sfuggirti… fa pensare. Fa pensare a coperture maggiori che non alla semplice opera di qualche mela marcia. Prove di questo accordo non ne ho, ma la mia sensazione è che qualcosa ci sia stato. Penso alle dichiarazioni di Spatuzza o Ciancimino che – seppur non sempre veritiere – fanno intravedere uno spaccato di un periodo del quale qualcosa di anomalo emerge. C'è ancora molto da scoprire, ma ribadisco, queste sono sensazioni più da scrittore che da poliziotto. La copertina del libro "100% sbirro", scritto da IMD con Raffaella Catalano Il 4 settembre I.M.D. sarà a Sessa Aurunca (Caserta) con Pino Maniaci di Telejato a presentare il libro "100% SBIRRO". La location prescelta è un terreno confiscato alla mafia.
Pubblicato su Freedom24 24 agosto 2010
Muammar Gheddafi con Silvio Berlusconi IN GINOCCHIO DA TE Quando ci sono in ballo interessi economici si superano ostacoli non indifferenti. Compresi quelli politici. Il trattato di "amicizia" Italia-Libia è stato infatti ratificato anche con i voti del Partito democratico. Perché di quel trattato fu proprio il governo Prodi, con Massimo D'Alema ministro degli Esteri, a scriverne il preambolo. Le basi di quel lavoro partono da lontano, dall'accordo che Lamberto Dini firmò nel 1998 e che doveva chiudere tutto il contenzioso. Ma non fu sufficiente e quindi Prodi prima e Berlusconi poi hanno prodotto un nuovo trattato, molto più favorevole alle richieste del leader libico Muammar el Gheddafi, che non ha mai smesso di rivendicare crediti nei confronti del Paese "colonizzatore". Il risarcimento dei danni Come nel Comunicato Congiunto del 2008, l'Italia esprime, già dal preambolo, "il proprio rammarico per le sofferenze arrecate al popolo libico a seguito della colonizzazione italiana". Per questo motivo viene stabilito un risarcimento del danno "in fondi finanziari necessari per la realizzazione di progetti infrastrutturali di base", pari a 5 miliardi di dollari, con un importo annuale di 250 milioni per 20 anni. "La Libia è riuscita ad ottenere una 'condanna' del colonialismo italiano con parole molto forti – spiega Natalino Ronzitti, professore di diritto internazionale all'Università Luiss di Roma e Consigliere scientifico dell'Istituto Affari Internazionali – che costituirà ovviamente un precedente per gli stati di nuova indipendenza nei loro rapporti con la ex-madrepatria. Soprattutto per quanto riguarda il risarcimento. Per esempio l'ho ascoltato in un convegno da parte della Corea del Sud nei confronti del Giappone". Secondo il professore, il trattato ha giuridicamente lo stesso valore degli accordi precedenti, ma è "politicamente più vincolante". Quando il trattato approdò sul tavolo della Commissione Affari esteri della Camera, i deputati radicali eletti nel Pd insieme al solo Furio Colombo presentarono 6 mila emendamenti. "Era evidente – spiega Colombo – che quell'atto serviva soltanto a far intercettare, bloccare e incarcerare gli immigrati, che ci sembrava più grave di qualsiasi losco affare". Il trattato prevede che i due Paesi "promuovano la realizzazione di un sistema di controllo delle frontiere terrestri libiche, da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche". L'impegno economico graverà per il 50% sul governo italiano e per il restante sull'Unione europea. "Peccato che invece l'Italia ha fornito alla Libia soltanto delle costosissime motovedette – dichiara ancora Colombo – e poi le unità militari siano composte da cittadini di un Paese non democratico che non ha ratificato nemmeno la convenzione di Ginevra per i rifugiati". Nell'articolo 6, relativo al rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, c'è l'impegno ad agire conformemente alle rispettive legislazioni, agli obiettivi e ai principi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo. "Una disposizione molto incisiva – spiega Ronzitti – che non è uno strumento giuridicamente vincolante. Ma resta da vedere se il riferimento alle 'rispettive legislazioni' non finisca per limitare la portata dell'obbligo da parte libica, che non vanta (o attua) una legislazione particolarmente avanzata in materia di diritti umani". Non c'è invece nessuna disposizione a favore degli esuli cacciati dalla Libia, i cui beni furono confiscati. Ratifica bipartisan In aula ci fu un lungo ostruzionismo, e alla fine il trattato fu ratificato con la contrarietà dell'Udc, dell'Idv, dei radicali eletti nel Pd e di tre deputati democratici (oltre a Colombo anche Andrea Sarubbi e Pierluigi Mantini). "I 3 mila emendamenti che hanno raggiunto l'aula sembrano un di più rispetto a un atto dovuto" disse Massimo D'Alema in un breve ma duro intervento, "l'Italia è il primo Paese che riconosce le proprie responsabilità storiche nei confronti di una sua ex colonia, il che le fa onore". Eppure il leader libico continua a battere cassa. Non sono bastati 5 miliardi, un precedente diplomatico e l'accordo con un Paese che non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati per ridurre gli interessi di Gheddafi che da oggi (l'arrivo è previsto alle ore 12 all'aeroporto di Ciampino) andrà a braccetto con Berlusconi in nome dell'"amicizia". E degli affari. Il Fatto Quotidiano su Freedom24 il 29 Agosto 2010
Dopo quelle ad personam ora siamo alle leggi ad aziendam. Così è stata bollata, dai quotidiani che Berlusconi controlla ma che sono tutti di sinistra (tranne due), la legge che riguarderebbe la Mondadori. Con toni da fine del mondo, i vari giornali di sinistra, con Repubblica in testa, scrivono che Mondadori doveva al Fisco italiano la "bellezza di 400 miliardi delle vecchie lire", ma che "grazie alla legge convertita il 22 maggio scorso potrà chiudere ma maxi-vertenza pagando un mini-tributo: non i 350 milioni di euro previsti (tra mancati versamenti d'imposta, sanzioni e interessi) ma solo 8,6 milioni. E amici come prima". Scrive il solito ossessionato Massimo Giannini su Repubblica: "un condono riservato. Meglio ancora: una legge ad aziendam". Ecco, ora vi preghiamo di leggere con attenzione. Perché è tutto falso. La legge in questione serve per smaltire le decine di migliaia di vertenze arretrate arrivate in Cassazione. E funziona così: hai una vertenza con il fisco da più di vent'anni e sei arrivato al terzo grado? Bene, puoi chiudere tutto pagando una percentuale di quanto contestato (il 5%), e toglierti subito il pensiero. Ma ad una condizione: devi aver vinto i precedenti due gradi. Eh sì, questo è l'aspetto paradossale e che fa perfettamente cogliere la ratio della legge (e che gli ossessionati di Repubblica non vi dicono). Capito? E' proprio il caso della Mondadori, che nella vertenza col Fisco ha già avuto ragione da due giudici, in attesa del terzo. Quindi la Mondadori si è vista già riconoscere le proprie ragioni: è il Fisco che sbaglia. Perché in realtà la legge è conveniente per il fisco, e non per chi decide di pagare. Questo perché il fisco, dopo aver perso i primi due gradi di giudizio, di fronte alla difficile possibilità di vincere in Cassazione intascherà comunque una montagna di soldi (nel caso della Mondadori oltre 8 milioni di euro, soldi che senza questa legge mai finirebbero allo Stato). Perché, quindi, un'azienda dovrebbe decidere di pagare pur dopo aver vinto i primi due gradi di giudizio? Perché, con una spesa equa può chiuedere un processo in corso da vent'anni o oltre (tutto nasce nel 1992 - e Berlusconi non era certo in politica – quando viene abolita la commissione tributaria centrale che esercitava le funzioni della Cassazione nel processo tributario, sostituendola con la Cassazione: da qui le centinaia di migliaia di processi arretrati). Non si tratta, quindi, di un favore alla Mondadori. Anzi, e lo ripetiamo, è un favore per il fisco.Per lo Stato. Ci siamo dilungati troppo, ma ne valeva la pena. I giornalai di sinistra, e tutti i sinistrati (ma non solo…) raccontano altro, tacciono sul fatto che per usufruire della legge devi aver vinto i precedenti gradi di giudizio, e soprattutto non dicono che ci sono decine di migliaia di contribuenti nella stessa posizione della Mondadori. Non ve lo dicono, non vi raccontano tutto, ma vi buttano lì la solita ossessione. Che diventa, questa volta, pure oggetto di un dibattito stucchevole e patetico: quello messo in scena da qualche intellettuale di sinistra, che si chiede perchè continuare a pubblicare con Mondadori dopo questa legge vergogna. Saranno pure intellettuali, ma i casi sono due: o sono ignoranti come capre da non riuscire a capire il vero senso di questa legge, oppure sono in malafede. Questa vicenda dimostra, ancora una volta, lo stato dell'informazione italiana. Dimostra l'ignobile stato di Repubblica, un giornale-partito, che non è libero, che non fa informazione, ma che racconta menzogne, che diffama, che insulta, che inventa continuamente balle pur di assecondare le proprie dannate ossessioni. Come in questo caso. Courtesy of www.daw-blog.com PDL Rai: http://www.facebook.com/group.php?gid=107943919224176
Colpi di sole e la sinistra democratica si fa "Libera & bella" | Sabato 28 Agosto 2010 09:14 | Il segretario Bersani resuscita l'Ulivo e molti nel Pd evocano un nuovo Prodi. Sarà Montezemolo il prossimo leader degli antiberlusconiani? Forse qualche indizio potrà essere colto tra gli stand della Festa nazionale del Pd che si apre oggi pomeriggio Un fantasma si aggira tra gli stand della festa del Pd che nei prossimi 15 giorni riempirà il centro di Torino con la folla gioiosa del centrosinistra. Tutti sanno che la corsa del centrodestra verso le elezioni ha solo rallentato l'andatura, ma che quello delle urne è ancora la sbocco più probabile della crisi politica. In questa situazione, che è quasi di mobilitazione generale, la prima mossa di preparazione allo scontro elettorale messa in campo dal segretario Pd Pier Luigi Bersani è stata quella di riesumare, tentando di riverniciarlo a nuovo, il progetto dell'Ulivo di prodiana fattura. Tutti però sanno che per battere Berlusconi anche se indebolito dalla ferita finiana e dalle difficoltà economiche ci vuole ben altro. Questa è la constatazione – spiega allo Spiffero un autorevole dirigente nazionale democratico - che porterà a evocare la materializzazione di una delle presenze eteree che, da mesi, si agitano dietro le quinte della tormentata ribalta politica: quelle figure espressione dei poteri più o meno forti, da De Benedetti a Passera passando per Profumo, che tanto peso hanno nelle travagliate vicende del centrosinistra. Questa volta il fantasma del palcoscenico, quello che a giudizio di molti è in grado di sconfiggere l'uomo di Arcore ha un volto, anzi una chioma familiare a Torino: quella cotonata di Luca Cordero di Montezemolo. | Leggi tutto... | Cota prepara il tagliando di giunta | Venerdì 27 Agosto 2010 09:14 | Dopo aver trascorso l'estate da globetrotter a fianco di Bossi, il presidente dedica un po' di tempo alle faccende domestiche. La squadra necessita qualche ritocco perché con l'autunno partono i nuovi palinsesti televisivi con tutti i talkshow. Chi sale e chi scende alla corte di piazza Castello Non ha certo passato l'estate oziando su qualche spiaggia tropicale il governatore sub-iudice del Piemonte. Tutto si potrà dire di Roberto Cota ma non che ami il dolce far niente. Mentre i suoi assessori si sono sparpagliati in mezzo mondo lui non ha trascurato neppure per un attimo di marcare presenza sui giornali spiegando un giorno come sarà la sanità piemontese del futuro, quello successivo illustrando i provvedimenti capaci di rimettere in moto la stanca locomotiva economica subalpina e ancora come si ripromette di far diventare la Reggia di Venaria un temibile concorrente del Palazzo di Vetro dell'Onu in grado di richiamare sotto la Mole i più prestigiosi summit internazionali. Ma tutto questo non è che l'antipasto. In mezzo a questa apoteosi di annunci, che complice la penuria ferragostana di notizie vere ha riempito le cronache locali del principale quotidiano torinese, Cota ha trovato il tempo di seguire come un'ombra Umberto Bossi, tallonato fin dentro le stanze della villa berlusconiana sul lago Maggiore: un modo per riaffermare la sua statura di politico di primo piano. Ma l'attivismo ipercinetico sembra concentrarsi ora alle faccende domestiche, alla squadra che lo affianca sulla tolda di comando di piazza Castello. |
Stefano Pozzi ti ha inviato un messaggi>
> > | facebook | | > | Stefano ti ha inviato un messaggio. > > | | | Oggetto: La mia nuova e "vecchia" musica :-) >Amici, vi invio questo player: potete ascoltare degli estratti delle mie releases e, se vi piacciono, acquistare le mie tracce su junodownload. Grazie per il supporto. Stefano
Un fatto anomalo, grave, allarmante. E un salto di qualità della mafia sul terreno delle intimidazioni a chi la combatte. L'episodio risale ai primi giorni di agosto, ma è stato reso noto solo nelle ultime ore. La moglie di un agente della squadra "Catturandi" di Palermo, quella che si occupa della cattura dei latitanti di cosa nostra e che ha arrestato boss come Bernardo Provenzano e Giovanni Brusca, è stata avvicinata da uno sconosciuto, che le ha mostrato alcune foto del compagno con i familiari e di altri tre suoi colleghi. "Che bei mariti avete, che belle famiglie", ha detto l'uomo, gettando nel panico le persone che stanno vicino ai quattro poliziotti. Sono poliziotti che non hanno un volto né un nome. Uno di loro di recente ha raccontato il lavoro della "Catturandi" in un libro, mantenendo l'assoluto anonimato. Ma a quanto pare la mafia conosce alcuni dei segreti del nucleo speciale. Giuseppe Tiani, segretario generale del Siap (il Sindacato italiano degli appartenenti alla polizia), sa bene in quale contesto si muovono questi agenti e mette in guardia dopo le notizie che arrivano da Palermo. Nessuno conosce l'identità dei poliziotti della "Catturandi", com'è possibile che i mafiosi li abbiano individuati e che abbiano potuto avvicinare i loro familiari? Naturalmente non so cosa è successo veramente, ma posso avanzare alcune valutazioni. Gli agenti minacciati possono essere stati pedinati da qualcuno che ha scattato le foto e ha scoperto a quale nucleo appartengono. Le informazioni riservate forse sono arrivate da elementi deviati dello Stato in mano alla mafia oppure infiltrati in qualche associazione antimafia che partecipa agli incontri con le forze dell'ordine. Sono tutte ipotesi plausibili. Perché si tratta di un fatto preoccupante? Quello che è successo è molto grave, perché la minaccia è anomala e il metodo utilizzato è nuovo quanto infido. Il coinvolgimento delle famiglie degli agenti è un salto di qualità nelle intimidazioni mafiose. Tutti possono intuire come minacciare un poliziotto o un magistrato inviandogli ad esempio un proiettile in ufficio sia molto diverso dall'avvicinare per la strada sua moglie o i suoi figli. Perché la "Catturandi" è un obiettivo? Parliamo di uno dei nuclei investigativi migliori al mondo, i cui componenti corrono rischi molto elevati. Come tutta la polizia, la sezione "Catturandi" contrasta la mafia con continuità, indipendentemente dalle circostanze politiche e dai governi in carica. Anche se considero particolarmente allarmante che questo episodio si sia verificato in un momento di instabilità politica. Chiediamo alle istituzioni di non abbandonare gli uomini e le donne in divisa che contrastano la mafia e che rischiano la vita, di proteggerli in modo adeguato. Che tipo di vita fanno e quali rischi corrono questi agenti? Sono poliziotti che, come molti altri, hanno stipendi medio-bassi, che anticipano di tasca propria le spese per le missioni. E che non hanno indennità aggiuntive per i rischi che corrono. Gli agenti della "Catturandi" aspettano ancora il pagamento di una tranche degli straordinari della cattura di Provenzano, avvenuta quattro anni fa. A differenza di altri operatori di polizia però conducono una vita più riservata, mantenendo il segreto sul fatto che appartengono alla squadra speciale. Uno di loro è già stato trasferito insieme alla famiglia. È necessario per motivi di sicurezza. Ma non è sempre facile trasferire da Palermo questi agenti, proprio per la loro preparazione altamente specializzata. Si tratta di un nucleo che è il risultato di anni di lavoro, che nonostante i tagli al settore sicurezza funziona bene e porta risultati di grande valore. Chi ne fa parte ha un bagaglio di conoscenze eccezionale del contesto siciliano e della criminalità organizzata e non è rimpiazzabile su due piedi. I poliziotti minacciati hanno dichiarato che la mafia non fermerà il loro lavoro. Proprio perché sono esposti ai pericoli eppure determinati, devono essere tutelati. Il livello di attenzione sulla squadra "Catturandi", sulla polizia e sulla sicurezza in generale va mantenuto: è nell'interesse di tutti. L'aspetto più inquietante della recente vicenda è che gli agenti presi di mira sono alcuni di quelli che stanno lavorando giorno e notte per la cattura di Matteo Messina Denaro, latitante da 16 anni e considerato il nuovo capo dei capi di cosa nostra. Le misure di sicurezza in difesa di questi poliziotti, come accade in generale per gli operatori di polizia, è costituita da uomini di guardia nei luoghi di lavoro, ma non sono estese ai singoli e alle loro famiglie. È ai singoli e alle loro famiglie però che la mafia ha puntato questa volta. DA: http://blog.panorama.it/italia/2010/08/26/i-%E2%80%9Ccatturandi%E2%80%9D-minacciati-dalla-mafia-vita-e-rischi-dei-poliziotti-senza-volto/ DI: http://blog.panorama.it/ cristina.bassi
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