Al Bentegodi, in svantaggio, con la maledizione della 'fatal Verona' che pendeva sulla testa del Milan come fosse una spada di Damocle. Se è vero che i giocatori di caratura superiore si vedono quando la palla scotta, Rafael Leão in quella serata ha dimostrato una volta di più di appartenere a quella categoria. Ed è per questo che se dovessimo rintracciare un uomo che più degli altri ha messo il timbro su questo Scudetto vinto dal Milan, il diciannovesimo della gloriosa storia rossonera, la scelta non può che ricadere proprio sul portoghese. Non è una questione di numeri, seppur quest'anno il portoghese abbia raggiunto la doppia cifra di goal in Serie A per la prima volta dopo essersi fermato a 6 nelle prime due stagioni. È una questione di impatto sulle partite. Basterebbe chiederlo ai terzini destri di mezza Serie A, quelli che han dovuto fare i conti con le sue accelerate, che hanno provato a limitare la sua indole da dribblomane che negli anni scorsi spesso aveva indotto molti a definirlo come un giocatore più fumoso che concreto. Quest'anno la musica è cambiata: Rafa ha cavalcato l'onda - metafora non casuale: l'emoji del surfista sotto ogni suo post su Instagram è un must - e ha composto insieme a Theo Hernandez una coppia incontenibile sulla corsia mancina. Quando è stato acquistato dal Lille nell'estate 2019, Marco Giampaolo lo aveva impostato inizialmente come seconda punta nel suo 4-3-1-2, ma lo switch con Pioli al 4-2-3-1 e l'abitudine a giocare sulla corsia di sinistra lo ha portato a trovare più facilmente i propri spazi. |
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