C'era una volta la Coppa delle Fiere. Una competizione concepita da tre grandi dirigenti della Fifa: Ernst Thommen, Ottorino Barrasi e Stanley Rous. Fondato nel 1955, stesso anno dell'istituzione della Coppa dei Campioni, il torneo metteva di fronte le squadre delle città dove si tenevano le fiere commerciali più importanti d'Europa. L'obiettivo era cementare attraverso lo sport il neonato e ancora debole spirito comunitario europeo che iniziava pian piano a prendere corpo in tutto il Vecchio Continente a dieci anni esatti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il torneo partì inizialmente con una formula molto complicata, che prevedeva la partecipazione solo su inviti e un'iniziale fase a gironi. In seguito scontri a eliminazione diretta su un calendario di durata triennale. Tutto troppo pesante e complicato, persino in un calcio che non aveva ancora nemmeno lontanamente dimestichezza di concetti come turni infrasettimanali ed esigenze televisive. A partire dall'edizione 1960-1961 la coppa venne snellita nella sua struttura. Niente più gironi, aboliti in favore di una formula da dentro o fuori, con finale in due atti. In questo contesto storico e calcistico trova spazio, in attesa di capire cosa accadrà nella finale di Conference League contro il Feyenoord, l'unica vittoria in campo internazionale della Roma, che si aggiudicò l'edizione 1960-1961 e divenne l'unica squadra italiana capace di portare a casa la Coppa delle Fiere. Un successo che permise ai giallorossi di ottenere prestigio in ambito europeo e mettersi finalmente alle spalle un decennio complicatissimo. |
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