“Pd omertoso”: Esposito sbatte la porta
Con una lettera ai vertici, il senatore annuncia l'autosospensione, in seguito ai fatti relativi al congresso e alle parole del neo segretario Morri sul caso Iatì. “Un partito che non vede, non sente e non parla non è certo quello per cui tanti di noi hanno lavorato”
“Ho
sperato di non dover mai scrivere questa lettera, ma ciò che è avvenuto
e sta avvenendo a Torino non può più essere taciuto”. Sono parole amare
quelle vergate da Stefano Esposito in una lettera indirizzata ai vertici del Pd in
cui comunica la sua autosospensione dal partito. Una decisione maturata
a seguito «dei gravi fatti che hanno macchiato il congresso del Pd di
Torino» e dalle affermazioni fatte quest’oggi dal neo segretario Fabrizio Morri, in particolare sulla vicenda di Vincenzo Iatì,
il responsabile del circolo di Barriera di Milano, costretto a
rimettere il proprio mandato dopo la scoperta del suo turbolento passato
e, soprattutto, una citazione in una relazione legata all'inchiesta
Minotauro per essersi rivolto a un esponente della 'ndrangheta,
sollecitando voti per un candidato di centrodestra alle amministrative
nelTtorinese, fatto per il quale però non risulta indagato. «Non posso
accettare che le denunce di militanti e dirigenti del Pd torinese
vengano squalificate alla stregua di pretestuosi attacchi al partito»,
spiega il parlamentare torinese. «Ho chiesto al partito nazionale e agli
organismi di garanzia di valutare se quanto da me esposto sia frutto di
una esclusiva opinione personale o sia invece necessario un immediato
intervento politico prima ancora che regolamentare».
In attesa di questi chiarimenti Esposito fa un passo indietro e rimette
l’incarico di vicepresidente della Commissione Trasporti e di
componente Commissione antimafia nelle mani del gruppo democratico del
Senato «e qualora gli organi nazionali del Partito dovessero ritenere
queste mie valutazioni prive di fondamento o addirittura calunniose come
affermato dal segretario Morri, ne trarrò le debite conseguenze
trasformando l’auto-sospensione in dimissioni dal Pd e in dimissioni
anche dal ruolo di senatore».
Un duro j'accuse che parte dalle vicende congressuali, ma che fende la
lama nella carne viva di un partito che ha subito una "mutazione
genetica" rendendolo ai suoi occhi, di militante e dirigente di lungo
corso, ormai irriconoscibile. «Il fatto che un gruppo ristretto di
dirigenti abbia organizzato una occupazione manu militari del partito
attraverso l’organizzazione di pacchetti di tessere, non è forse un
problema politico? Il tema non è relativo a chi sostiene Renzi, Cuperlo,
Civati o Pittella, poiché siamo di fronte ad una mutazione genetica
legata a un patto per vincere a qualunque costo e a qualunque prezzo il
congresso. Prendo atto che né sul piano politico né su quello dei
ricorsi ufficiali fatti da altri si è inteso aprire una riflessione;
anzi, il neo Segretario eletto Fabrizio Morri ha accusato coloro che
hanno denunciato atti contrari non solo alle regole ma al buon costume,
di essere dirigenti che vogliono danneggiare il Pd».
Il fondo, per Esposito, è stato toccato ieri, con la vicenda relativa a
Vincenzo Iatì, «evidente frutto del metodo distorto e malato che ha
contraddistinto il congresso torinese». Il Pd in vece di prendere le
distanze (e provvedimenti) ha minimizzato assumendo, attraverso il neo
segretario Morri, una posizione pilatesca «del tutto in contraddizione
con i valori della legalità e della trasparenza». Anzi, aggiunge il
senatore, è inaccettabile che chi denuncia il malcostume venga accusato
di denigrare il partito. «Poiché non ho la pretesa di ritenermi un
oracolo su temi come questi, chiedo al partito nazionale e agli
organismi di garanzia di valutare se quanto da me sinteticamente esposto
sia frutto di una esclusiva opinione personale o sia invece necessario
un immediato intervento politico prima ancora che regolamentare».
Infine, l’amara conclusione. «Ho sempre ritenuto il Pd un partito che
su questi temi è contraddistinto da una profonda diversità rispetto ad
altre forze politiche con cui combattiamo una dura battaglia. Vorrei che
questa diversità non si limitasse alle parole e alle dichiarazioni, ma
si traducesse nei fatti. Se così non dovesse essere, allora vorrebbe
dire che non ci sono ragioni per poter proseguire in questa esperienza
politica. Un partito che non vede, non sente e non parla non è certo
quello per cui tanti di noi hanno lavorato».
Nessun commento:
Posta un commento