La Rai rinuncia al canone sui pc
La Rai «non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer collegato alla rete, i tablet e gli smartphone».
Si chiude con una laconico comunicato stampa della Rai, e una correzione di tiro, una vicenda che ha infiammato per qualche giorno il mondo delle imprese e dei professionisti italiani chiamati all'improvviso alla cassa per pagare il canone Rai in quanto detentori di personal computer potenzialmente in grado di essere utilizzati anche per vedere i programmi televisivi (si veda Il Sole 24 Ore del 17 febbraio).
Una tassa (200,91 euro a pc) che avrebbe portato nelle casse della Rai circa un miliardo da parte delle imprese a cui andavano aggiunti i circa 400 milioni che avrebbero dovuto versare i professionisti. A rimettere le cose a posto ci ha pensato la stessa Rai, dopo un confronto avvenuto ieri mattina con il ministero dello Sviluppo economico, rilevando che «la lettera inviata dalla Direzione abbonamenti Rai si riferisce esclusivamente al canone speciale dovuto da imprese, società ed enti nel caso in cui i computer siano utilizzati come televisori (digital signage) fermo restando che il canone speciale non va corrisposto», viene ulteriormente precisato, «nel caso in cui tali imprese, società ed enti abbiano già provveduto al pagamento per il possesso di uno o più televisori». Per viale Mazzini «ciò quindi limita il campo di applicazione del tributo ad una utilizzazione molto specifica del computer». Peraltro «rispetto a quanto previsto in altri Paesi europei per i loro broadcaster che nella richiesta del canone hanno inserito tra gli apparecchi atti o adattabili alla ricezione radiotelevisiva, oltre alla televisione, il possesso dei computer collegati alla rete web, i tablet e gli smartphone». La nota si chiude ribadendo «che in Italia il canone ordinario deve essere pagato solo per il possesso di un televisore».
Tutta la questione era sorta a seguito della richiesta di sottoscrizione del canone via lettera da parte della direzione amministrativa abbonamenti che trovava fondamento nell'articolo 27 del regio decreto 246/1938 e articolo 16 della legge 488/1999 in base ai quali sono sottoposti a canone tutti gli «apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo». E in questi anni di progresso tecnologico i dispositivi in grado di consentire la fruizione di immagini televisive si sono moltiplicati. Così, dopo le tv vere e proprie la Rai aveva messo l'occhio sui personal computer delle aziende, dove si va a colpo sicuro perché oggi non esiste impresa o studio professionale che non abbia un pc e una connessione a internet. Alla lettera era allegato un bollettino precompilato e si addolciva l'adempimento ricordando la deducibilità del medesimo ma avvisando anche che gli organi di controllo sarebbero intervenuti sul territorio per verificare il regolare pagamento del tributo.
Il mondo produttivo (dalla grande alla piccola impresa) aveva fatto fronte comune contro, come aveva ribadito a margine del Consiglio direttivo di Confindustria Digitale il presidente Stefano Parisi, «un'assurda forzatura giuridica, ma soprattutto un'iniziativa fuori dal tempo e in totale contrasto con gli obiettivi dell'agenda digitale e gli sforzi che si stanno mettendo in atto per rilanciare la crescita del Paese». Anche perché, ha spiegato Parisi, «che i Pc non sono stati concepiti per la ricezione di trasmissioni radiotelevisive, ma per innovare l'organizzazione del lavoro e la comunicazione. E il richiamarsi a una legge del '38 per tassare tecnologie del nuovo millennio sono frutto di un'interpretazione del tutto arbitraria non supportata da alcun riferimento legislativo».
Scongiurato il pericolo di dover pagare, resta da tutelare chi avesse già pagato. Per quei pochi, il presidente di Adoc, Carlo Pileri, annuncia che l'associazione di difesa dei consumatori metterà a breve a disposizione un modello di richiesta di rimborso da inviare alla Rai.«Qualora non si provvedesse al rimborso - spiega Pileri – si configurerebbe l'ipotesi di appropriazione indebita da parte dell'azienda».
22/02/2012
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